Da qualche mese è in libreria l’ultimo lavoro di Umberto Lucarelli “L’invettiva”, edizioni Bietti, 2020, un monologo che vuole essere una chiara denuncia, amara e sentita, a coloro che per oltre vent’anni sono stati i compagni di viaggio dell’autore, una accusa quasi oltraggiosa a coloro che con lui hanno condiviso quel tempo il lavoro, che con, creativamente e con fiducia e onestà, anno dopo anno, credeva fosse aiutare a crescere i ragazzi con difficoltà intellettiva e psichiatrica.
Senza posa, frase dopo frase, momento dopo momento, lo scrittore costruisce la sua trama, seguendo la tecnica, direi, del flusso di coscienza, ma, allo stesso tempo, con ben chiaro il suo obiettivo narrativo, tesse una sorta di quieta vendetta per quei gaglioffi che, alla fine, si sono rivelati dei pochi di buono, dei cialtroni, che con il lavoro nel sociale, per i progetti di emancipazione delle persone con disabilità intellettiva e psichica, avevano a cuore solo il loro torna conto economico.
Un libro questo che si può anche leggere tutto d’un fiato, sono 74 pagine, anche perché l’originale scrittura dell’autore, che, con la punteggiatura direi eccentrica (usa virgole, punti di interrogativi, ma proprio raramente dei punti), ma, ovviamente, è solo una maniera di gustare questa gentile lamentazione.
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