La prima Barbie con la Sindrome di Down

La prima Barbie con la Sindrome di Down

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ha annunciato il lancio della prima Barbie con sindrome di Down, Barbie, la bambola più fashion e chiacchierata da 64 anni a questa parte, l’azienda statunitense Mattel, la bambola è già in commercio negli Stati Uniti, realizzata con la collaborazione della National Down Syndrome Society (NDSS), l’associazione senza fini di lucro che dal 1979 educa i cittadini su questa sindrome e offre supporto alle persone con sindrome di Down, alle loro famiglie, agli amici e agli insegnanti negli USA. 

La nuova Barbie si presenta con un nuovo volto e un nuovo corpo più rappresentativo delle donne con la sindrome di Down. Il viso della bambola è più tondo, le orecchie sono un po’ più piccole e il naso un po’ più piatto, mentre gli occhi sono leggermente più distanti e più a forma di mandorla, la Barbie indossa anche una collana rosa che rappresenta le tre punte del 21esimo cromosoma, quello che causa la sindrome. “Questo significa molto per la nostra comunità, che per la prima volta può giocare con una bambola Barbie che le somiglia”, ha dichiarato la presidente dell’associazione NDSS, Kandi Pickard.

“Quando ci ha contattati Mattel ho subito ritenuto che il messaggio sociale fosse potente: per una bambina disabile riconoscersi in un giocattolo è molto importante”, ci racconta Luca Trapanese, papà single che ha adottato la piccola Alba, bambina con la sindrome di Down, “lo è anche per chi non ha quella forma di disabilità o diversità, educa i bambini all’inclusione e alla convivenza della diversità con una certa consuetudine senza fare troppi giri di parole o spiegazioni”. Una collaborazione gratuita, quella di Trapanese, che in futuro potrebbe tramutarsi in nuovi progetti per i bambini meno fortunati, ma che ora ha già fatto la felicità della piccola Alba: “Si è riconosciuta immediatamente!”, racconta il papà, “Da qualche settimana l’avevamo in anteprima e lei ci gioca e le piace moltissimo, la porta in giro e la fa vedere a tutti”.

 

 

Photo: Wired.it

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Fonte: Sociale.it