É uscito il 16 marzo 2017 il libro, edito da Mondadori, “Lo zaino di Emma”, dell’autrice Martina Fuga, un libro biografico scritto da una madre di una figlia con sindrome di down, ora tredicenne, pubblichiamo per la redazione del nostro sito la recensione di Ugo Fanti, riassuntiva e puntuale.
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Recensione:
«Emma è nata in silenzio. Emma non ha pianto come tutti i bambini appena nati, non ha sbraitato la sua rabbia per essere sbattuta fuori, al mondo, al freddo, alla vita.». Così scrive Martina Fuga nel libro in cui racconta della figlia Emma e della sua vita insieme a lei. E racconta di come Emma, la seconda dei suoi tre figli, sia stata (e sia) per lei uno stimolo continuo ed anche un’opportunità: quella di guardarsi dentro, come fosse perennemente davanti allo specchio, ma di farlo da un angolo visuale insolito. Opportunità che la figlia le offre quotidianamente porgendogli, come lei stessa ci dice nelle prime pagine del libro, prima un “binocolo”, per guardare lontano poi una “lente d’ingrandimento”, per scoprire i dettagli delle cose ed infine un “telescopio”, per vedere il mondo con occhi diversi. E noi immaginiamo che Emma tiri ogni volta fuori questi strumenti dal suo “zaino”, quello che tutti portiamo sulle spalle. Sì, perché anche Emma – la bambina nata in silenzio – è arrivata al mondo portando sulle spalle uno “zaino”, ma il suo è particolare e si chiama “Sindrome di Down”.
La nascita di un figlio, scrive mamma Martina, ti fa diventare grande e ti catapulta «nel mondo delle cose definitive», dalle quali non puoi più tornare indietro. E se il figlio che nasce ha nel suo ”zaino” un peso grande come la disabilità, allora la matassa della tua vita “da grande” si aggroviglia e per districarla devi re-inventarla, cominciando col cercare di mettere ordine nei pensieri, i più diversi, che ti si affollano nella testa. Puoi farlo in molti modi, ad esempio aprendo un blog – che chiami significativamente “Imprevisti” (www.imprevisti.wordpress.com) – o anche scrivendo un diario, o meglio trasformando i tuoi pensieri (i “post” del blog) in un libro-diario ed è proprio così che è nato “Lo zaino di Emma”, uscito per i tipi della Mondadori-Electa qualche anno fa, ma che vale la pena di leggere o ri-leggere anche oggi.
Ma perché Emma ha quello “zaino” particolare? E come spiegarle, quando sarà grande, che non potrà più toglierselo e dovrà ‘portarlo sulle spalle’ per sempre? Queste le domande che mamma Martina si è fatta – e si fa – e per le quali, da quando Emma è arrivata, non trova risposte soddisfacenti. Martina precisa, nel libro, che non è Emma il problema, ma il suo “zaino”, ed ha chiaro che quel cromosoma in più di sua figlia, quella “Trisomia 21”, come gli esperti chiamano la Sindrome di Emma, non è un dono. Il dono è proprio Emma, «ma per come è lei, non per la Sindrome» e a volte Martina si sorprende a pensare a come sarebbe stata Emma, così radiosa e felice, se non avesse avuto da portare quello “zaino” così pesante. Un pensiero veloce come il vento, che arriva e sparisce in un battere di ciglia.
Certo quello “zaino” per mamma Martina è difficile da dimenticare e certo «complica un po’ le cose», a lei e soprattutto ad Emma, «le fa fare più fatica in tutto, ma non c’è nulla che non proverà a fare, se lo vorrà.». «A volte quello zaino contiene solo il necessario, a volte ha un’attrezzatura più pesante, dipende dall’impresa che dovrà affrontare.». Chi leggerà il libro non troverà risposte precise a queste domande, ma scoprirà invece che, nonostante quello strano (e pesante) “zaino”, la vita di Emma (e con Emma) vale la pena di essere vissuta e può dare oltre ai momenti di sconforto, che certo ci sono, anche momenti di gioia e regalare «nuovi punti di vista, nuove prospettive sul mondo». Insomma Emma, oltre ad imparare a conquistare il mondo, giorno per giorno, può lei stessa insegnare qualcosa d’importante agli altri, piccoli o grandi che siano, bisogna solo capirlo e saperne approfittare.
Diceva Rita Levi Montalcini, Scienziata di fama mondiale e Premio Nobel per la Medicina 1986, che i bambini sono bambini ma non sono cretini e se una cosa difficile gliela si spiega in modo adeguato e chiaro loro la capiscono, a volte anche meglio degli adulti. Ma come spiegare a Giulia, la primogenita, quella che ha sicuramente “perso qualcosa” dalla nascita di Emma, che cos’è la Sindrome di Down della sorella? Non c’è un modo definito, bisogna aspettare il momento giusto (e la domanda) ed essere pronti a rispondere in modo semplice. E quel momento è arrivato per mamma Martina quando Giulia, un giorno, le ha chiesto, mentre lavorava al suo computer, «Mamma, come si scrive DOWN?». E Martina ha risposto, parlandole anche dello “zaino” che la sorella Emma porta sulle spalle, e Giulia poi ha scritto, nel suo file intitolato “DOWN”: «PER AIUTARE CHI NE HA BISOGNO 1. Ci sono certi bambini che hanno bisogno di tempo per crescere. Questi bambini si chiamano DOWN. 2. Di questi bambini conosco: Emma, Francesco, Mila, Sara, Gian, Eleonora, Lulù, Francesca, Ilaria, Dario, Adriano, Anita, Rosa, Davide…».
Giulia aveva capito tutto, ma ha messo egualmente la risposta della sua mamma nello “zaino” che anche lei, come tutti, porta sulle spalle. Aveva capito tutto ma non ha detto niente perché – come ha scritto Antoine de Saint-Exupéry, ne “Il piccolo principe” – i bambini capiscono tutto e si stancano di spiegarlo ogni volta ai grandi. Giulia non ha spiegato niente, ma è diventata per la sorella DOWN un punto di riferimento e l’ha aiutata (e l’aiuta) nelle fatiche quotidiane della vita.
E così Emma cresce (oggi ha 13 anni) e continua a portare il suo “zaino” come fa anche mamma Martina che però, forse un po’ anche per merito di Emma, è entrata, da volontaria, nel mondo della figlia, e di quelli che portano il suo stesso tipo di “zaino”, per esplorarlo, capirlo meglio e fare la sua parte. Certo così lo “zaino” di mamma Martina si è fatto più pesante, ma ad aiutarla ci sono Papà Paolo, Giulia, Emma e Cesare e tutti i bambini DOWN che lo “zaino” di Emma le ha permesso di conoscere.
Ugo Fanti